Intervista
a
Sito dedicato a recensioni, segnalazioni
di libri, interviste ad autori ed editori
a cura di Laura Bassutti
Con
Stefano Valente, parliamo, oltre che del suo romanzo La
serpe e il mirto (1978) Ovvero il tempo secondo Aguilar Mendes,
di letteratura, editing, traduzioni… Una chiacchierata ricca di
spunti per chi scrive.
Stefano,
tu sei nato e vissuto in un ambiente famigliare intriso d’arte,
nelle sue più diverse espressioni. Perché la scrittura?
Quali sono le motivazioni, le circostanze personali e di vita, le suggestioni
che ti hanno portato a scrivere?
Sono cresciuto fra le tele, i disegni e i bozzetti dello studio di mio
nonno Anton Pietro, e poi fra le opere dello studio di mio padre Donatello.
I ricordi della mia infanzia coincidono con una sorta di incantamento,
di viaggio trasognato tra figure, forme, sfumature. Credo sia avvenuto
proprio lì il mio primo stupore, l’emozione del rapimento
sensoriale: nel bel mezzo dei quadri e delle cartelle ricolme di fogli,
con l’odore polveroso della carta e dei carboncini e quello pastoso
dei tubetti di colore. Cominciavo ad intuire che raffigurare
era molto di più del semplice descrivere. La vista di
un ritratto, di un paesaggio, o anche solo un abbozzo d’anatomia
o di natura morta attivava un coinvolgimento totale – dei sensi
e dell’immaginario. La realtà si ri-creava. E, di sguardo
in sguardo, volta dopo volta, era sempre diversa. La mia Wonderland,
il mio Paese delle meraviglie! Il passaggio successivo è stato
l’impegno continuo, il lavoro duro: capire che l’espressione
artistica è, prima di tutto, laboratorio, fatica artigianale.
Provare, correggere, ritornare sui propri passi, spesso cancellare.
Disegno praticamente da sempre. Ma fin da subito, grazie alla lettura,
ho avvertito l’immenso potere delle parole, capaci di evocare
una molteplicità simultanea di immagini e sensazioni –
oltre la rappresentazione bidimensionale di un dipinto, di un’illustrazione;
oltre persino la tridimensionalità di una scultura. Non soltanto.
Le opere dei grandi autori concepivano dal nulla nuovi mondi, interi
universi; oppure reinventavano il quotidiano, l’abituale –
e la leggenda, il mito, la Storia, i libri stessi (penso a Ficciones
di Jorge Luis Borges, un testo per me fondamentale) –, offrendo
quello spaesamento che rendeva magico ogni attimo, mai insignificante.
Attraverso la letteratura – quella con la maiuscola – ho
poi scoperto un percepire differente, prezioso, della stessa temporalità
(un tema che mi è molto caro). Poesia e narrativa “giocano”
col tempo interno e esterno alla parola: possono incidere l’istante
o diluirlo, o “riavvolgerlo” fino all’estenuazione;
permettono a chi legge di captare la tensione di un momento, di un’ora,
di un anno; forse addirittura dell’eternità. In questo
senso ogni verso, ogni racconto e romanzo, sono dotati di un “respiro”
loro proprio. Qui – azzardo: mi manca una formazione musicale
– la letteratura s’avvicina alla composizione melodica:
si sviluppa in crescendo, in adagio, o in fortissimo…
Il
tuo romanzo La serpe e il mirto
è un’opera complessa, ricca di simbolismi e citazioni,
con una prosa raffinata. Come è nata l’idea di questo libro
e che tipo di lavoro ne ha preceduto la stesura?
Un libro può nascere da un’emozione, da un episodio reale
che ci ha coinvolto in maniera prepotente, magari da uno shock. Può
derivare dalla lettura di altri libri – o anche dall’incontro
con uno stile narrativo sconosciuto, che non ci appartiene, ma è
in grado di aprire verso altre costruzioni linguistiche e può
prepararci ad esplorare un nuovo panorama espressivo. Oppure è
una semplice immagine, o una frase (a volte addirittura l’idea
di un titolo), talmente “potenti” da trascinarsi dietro
una storia intera (è successo per il romanzo storico Del
Morbo – Una cronaca del 1770: qui sono partito dall’apocalittica
visione finale del libro; è da quella che, via via, hanno preso
vita personaggi, ambientazioni, intreccio). In ogni caso l’embrione
da cui poi un romanzo si sviluppa ha sempre qualcosa di magico, di inafferrabile,
di fragilissimo...
Per La Serpe e il Mirto
(1978) si è trattato del concorso di più fattori:
ero “abitato” da più immagini. Una Roma misteriosa,
evanescente, che esiste parallelamente al mondo quotidiano e attende
d’esser percepita. L’Argentina – o meglio il Sudamerica
(con il suo «realismo magico») – e il Portogallo-orlo
del mondo; e il protagonista, Aguilar Mendes, che li condivide entrambi:
un personaggio, volente o nolente, sempre a metà, sospeso tra
più universi. Infine, su tutto, il Tempo come entità spiraliforme,
che disfa e ricostruisce cicli sempre uguali e sempre differenti (perché
una spirale gioca a camuffarsi in circolo). Germi e suggestioni che,
pagina dopo pagina, hanno finito per rivelare miti e simboli archetipici
– si pensi all’Ouroboros-Serpente-Tempo –dall’Antichità
dell’Occidente ma anche dalle culture più remote: ad esempio
gli antenati delle «vie dei canti» dell’Australia.
La Storia delle Religioni, l’Etnologia e l’Etnolinguistica
sono il filo conduttore dei miei studi e della mia formazione...
La documentazione, la ricerca – prima e durante la stesura di
un testo –, naturalmente sono imprescindibili...
Chi
è il lettore de La Serpe e il Mirto e di Stefano Valente?
La speranza d’ogni scrittore è che chiunque si accosti
alle sue opere. Di sicuro La
Serpe e il Mirto (1978) tenta di fornire più livelli
di lettura. Oltre la storia pura e semplice – il plot narrativo
e le vicende dei vari personaggi – io però tento sempre
di attrarre chi legge a visitare mondi nuovi, lo invito ad avere punti
di vista inconsueti, lo trascino all’interno di mitologie e civiltà
sconosciute. Insomma: cerco di spingere chi legge fin sull’orlo
del precipizio – là dove agiscono, vagano, sognano i protagonisti
delle mie storie…
Come
lavori sulla tua prosa per renderla così simile a una melodia
e peculiare?
Sono state le modulazioni della poesia, i suoi contrappunti, la mia
prima suggestione letteraria. In particolare i modernisti portoghesi
del ’900 – anzitutto le odi di Fernando Pessoa e dei suoi
eteronimi –, che fra l’altro mi hanno fatto accostare allo
studio delle lingue iberiche. Scrivere poesia – o meglio: tentare
– è un esercizio arduo, rischioso: perché le parole
ci illudono d’esser malleabili, di farsi dominare. In realtà
non possiamo che essere al loro servizio, impegnarci e cercare di coglierne
i valori, le ambiguità – le privazioni e i doni che arrivano
insieme al loro flusso.
I versi mi hanno sedotto a lungo: ne ho scritti molti, in italiano e
non. Oggi rispetto con timore la poesia. Ma non penso sia possibile
una narrativa puramente cronachistica, priva di “spessore lirico”.
O almeno non mi interessa questo tipo di scrittura. Per me scrivere
dev’essere spiazzante, aprire a nuove prospettive e possibilità.
Questo può avvenire tramite il linguaggio di cui si fa uso, attraverso
il divenire dei personaggi, dell’intreccio: dalla fusione di tutti
questi elementi, nessuno escluso. Un libro o una novella che, una volta
terminati, non lasciano traccia, sono meri “incidenti di percorso”.
E per questo lavoro con molta attenzione anche alla “musicalità”
della frase...
Hai
svolto anche lavori di editing per agenzie letterarie. L’editing
è fondamentale ma può diventare problematico e conflittuale
per un autore. Che ne pensi? E mi daresti il tuo parere sul self-publishing
che, almeno generalmente, prescinde da un editing curato da professionisti?
Personalmente,
considero l’editing una fase importantissima nella vita di un
romanzo, e ritengo che nessun autore possa anche essere editor di se
stesso. Soltanto un editor “specializzato” ha la giusta
distanza dal testo, può renderlo più fruibile per il lettore.
Dunque è fondamentale che editor e autore si confrontino e collaborino.
L’autore deve capire che il suo senso critico differisce da quello
dell’editor e far tesoro del confronto – con assoluta umiltà:
cosa che spesso manca a chi scrive...
Il self-publishing, ovviamente, rivela la mancanza di un editing adeguato.
È un grande limite per qualsiasi testo. In questo senso ho molte
perplessità sul valore dell’autopubblicazione. Con la quale,
inoltre, un’opera ha poca o nessuna pubblicità –
e quindi diffusione. Tuttavia, forse, l’espandersi del fenomeno
self-publishing ha il grande merito di mettere in discussione la “sacralità”
dell’editore, di chiamarlo a svolgere un ruolo più attivo
e specifico: di “motore della cultura” (quello in cui ho
sempre sperato)...
Non
solo, hai qualche consiglio per chi decide di scrivere e di pubblicare
solo o con una casa editrice?
Anzitutto: meglio
il self-publishing che la pubblicazione «con contributo».
Quest’ultima è inutile: gli editori-tipografi possono soltanto
nuocere all’autore e alle sue opere. Se poi chi scrive è
mosso solo dal vedere il proprio nome stampato su una copertina è
un altro discorso… Umiltà, lavoro, autocritica. Sono indispensabili
al “mestiere” della scrittura.
Qualora si opti per l’autopubblicazione, sottoporre il proprio
testo a più revisioni, possibilmente distanziando nel tempo le
nuove letture. E far leggere l’opera a un gruppo “affidabile”
di conoscenti, meglio se composto da “divoratori di libri”:
dal quale, insomma, possano venire giudizi sinceri e davvero costruttivi...
Infine, nell’eventualità di un contratto editoriale, esaminarlo
nel dettaglio e, se qualcosa non convince, farlo presente e eventualmente
richiedere le modifiche opportune.
Hai
curato diversi laboratori di scrittura creativa, in relazione al proliferare
delle scuole di scrittura online che idea ti sei fatto?
In realtà
non si può insegnare ad essere creativi: si possono
solo fornire strumenti, esempi, accorgimenti. La stessa dizione «scrittura
creativa», ormai d’uso comune, mi dà i brividi, la
cancellerei. Non ho esperienze, poi, di corsi online; dubito però
fortemente di qualsiasi insegnamento in cui manchi il rapporto diretto
docente-discepolo. Bisogna essere onesti: in Italia si scrive molto
e si legge poco o nulla. Prima di scrivere si dovrebbe leggere –
e imparare a leggere. Frequentare la letteratura. Con amore e sacrificio.
Un corso proficuo “di scrittura” è quello che parte
dall’analisi dei testi, degli stili letterari, delle strutture
narrative. Solo dopo si può passare alla “creazione narrativa”.
Questo mi fa venire in mente Julio Cortázar, uno dei vertici
letterari che hanno cambiato la mia vita, che mi hanno indirizzato alla
scrittura. Ebbene Cortázar giocava a paragonare il lavoro della
narrazione alla boxe (diceva ad esempio che il romanzo che funziona
è quello che “sconfigge” il lettore sulla distanza,
ai punti).
La similitudine pugile-scrittore mi piace molto. Perché in fondo
la scrittura è un mestiere solitario, duro, spesso ingrato –
per il quale sono indispensabili disciplina e costante allenamento.
C’è da affrontare una lotta con se stessi prima di andare
sul ring. E si ha ben chiaro questo: che non sarà mai facile...
Tu
hai studiato glottologia e ti sei occupato di traduzioni. Quanto è
importante il lavoro di traduttore nella tua opera? E, scusa l’inciso
personale: ultimamente ho letto Nido di Nobili
di Turgenev, alterandomi quasi a ogni frase, data la traduzione molto
trascurata. Vorrei parlare per un momento con te circa l’importanza
del lavoro del traduttore e mi spiegheresti il tuo punto di vista riguardo
al perché spesso case editrici, anche di una certa importanza,
si affidano a traduttori non proprio… esemplari?
La traduzione…
dilata lo sguardo. Conoscere altre lingue è disporre di diversi
punti d’osservazione, di interpretazione della realtà.
Grazie al portoghese, la mia “lingua dell’anima” –
nella quale spesso mi capita di pensare, o parlare fra me e me, e anche
di scrivere –, ho a volte l’impressione di cogliere aspetti
“altri” del vero, o dell’immaginario. Questo non può
che arricchire la scrittura, che io intendo proprio come il tentativo
di raccontare la complessità, la molteplicità di cui sono
intessute delle esistenze. E quindi tradurre è anche una forma
d’equilibrismo: perché trasporre un concetto, o una sensazione,
da un contesto culturale a un altro, è una prova e un’esperienza
“borderline” – e lo scrittore è quell’essere
curioso che si agita al di qua e al di là del limite, sempre
sul confine tra verità e verità…
Vorrei poi dire qualcosa sul topos traduttore-traditore. Esiste una
“responsabilità” di chi traduce. Perché tradurre
è, in qualche maniera, riscrivere. Una riscrittura che, generalmente,
finisce per essere l’unica “voce” con cui conosciamo
l’autore straniero. È successo anche a me di dover abbandonare
un testo per colpa della sua traduzione (giusto qualche mese fa con
Cuore di tenebra, il capolavoro di Conrad: ometto di citare l’edizione).
Non so perché accadano cose di questo tipo, persino con grandi
gruppi editoriali. Ma purtroppo accadono. Se ne ricava un senso di improvvisazione,
una deriva verso la trascuratezza, un’attenzione più per
la quantità che per la qualità delle pubblicazioni…
Cosa
ci aspettiamo in futuro da Stefano Valente scrittore?
Con l’editore Libromania
è appena uscito l’ebook
Il Delegato Poznan è stanco, un giallo ambientato
nel futuro remoto della Terra, o in un domani molto prossimo…
A fine anno è in programma un altro romanzo con Parallelo45,
editore dinamico e attento alle nuove tendenze letterarie – che
ha creduto ne La Serpe
e il Mirto (1978). Il nuovo romanzo è la storia di una
guerra finita. O forse no. E di un ex combattente che fa ritorno a casa
attraverso un paese sconfitto e devastato – a piedi, perché
i vincitori abbandonano i loro compagni quando questi non servono più.
Una discesa agli inferi attraverso la follia dell’odio, della
miseria, della morte, della pulizia etnica. Giù a capofitto dentro
la guerra – la guerra delle trincee, la guerra casa per casa,
la guerra dei fratelli contro i fratelli. Un libro come un pugno nello
stomaco che è nato dagli orrori dei conflitti nell’ex Jugoslavia,
così vicini e così ignorati, ma non solo…
E poi chissà, le parole continuano a incalzarmi… Attualmente
sono rappresentato dall’agenzia letteraria tedesca di Juliane
Roderer per tre romanzi, mentre l’agenzia spagnola «Página
Tres» rappresenta altri miei inediti.
Breve Bio
Stefano Valente è nato nel 1963 a Roma. Fin da piccolo è
immerso in un’atmosfera di cultura viva che ruota principalmente
attorno alle personalità del nonno paterno, Anton Pietro, Accademico
delle Belle Arti di Roma che lo incoraggia ai primi esercizi di disegno,
e del padre Donatello, persona poliedrica - architetto, pittore, critico
e storico dell’Arte, giornalista - che lo sprona a coltivare la
scrittura assecondando, contemporaneamente, l’inclinazione “famigliare”
che Stefano ha per il figurativo e la grafica in generale. Laureato
in Glottologia, passa dal giornalismo free-lance a collaborazioni e
corrispondenze dall’Italia per conto di testate-stampa e stazioni
radiofoniche estere (soprattutto in Canada e Portogallo); lavora come
sceneggiatore e disegnatore di fumetti, nonché illustratore e
traduttore (principalmente dal portoghese e dall’inglese) per
alcune case editrici. Dalla metà degli anni ’80 la necessità
di canalizzare il flusso creativo senza dispersioni: la scrittura diviene
mezzo privilegiato. Vincitore dei premi letterari «Mondolibro»
nel 1998 e nel 1999. Tra i titoli pubblicati: il romanzo storico Del
Morbo – Una cronaca del 1770 (Serarcangeli, 2004), Premio
Athanor; il thriller esoterico Lo
Specchio di Orfeo (Barbera, 2008), tradotto anche in Portogallo
(O Espelho
de Orfeu – Ésquilo Edições); La
Serpe e il Mirto (1978), edito da Parallelo45 nel novembre
scorso, e Il
Delegato Poznan è stanco, un giallo fantascientifico
pubblicato (Libromania, luglio 2014).
Nel 2013 ha vinto il
premio “Linguaggi Neokulturali” (www.kultural.eu)
con l’inedito Di altre Metamorfosi, primo su 2046 romanzi,
nel quale affronta da nuovi punti di vista la tematica della “pericolosità”
e del rifiuto della diversità.. Ha curato laboratori di scrittura
creativa ed editing testuale per alcune associazioni culturali e agenzie
letterarie, fra le quali Il Segnalibro. È stato ospitato
con alcune novelle e composizioni poetiche su varie riviste italiane
ed estere, letterarie e non. Interessato alla micronarrativa, fiorente
soprattutto nei paesi di lingua spagnola e portoghese, cura da anni,
come traduttore e non solo, il blog Il
Sogno del Minotauro divenuto oramai un riferimento per la microficción
internazionale.
www.stefanovalente.com
sognodelminotauro.blogspot.com
delegatopoznan.blogspot.com
[da |
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agosto 2014] |