Intervista a
Il «portale culturale nato dall’amore per la Storia»
di Andrea Rocchi C.

Lo Specchio di Orfeo, un thriller esoterico denso di suggestioni letterarie e mitologiche...

Incontro con lo scrittore Stefano Valente

Articolo a cura di Andrea Rocchi C.

Andrea Rocchi C.: editor presso l'Open Directory Project del sito www.dmoz.org, è responsabile della sezione italiana "Rievocazioni Storiche, Storia Antica". Fondatore del Talento nella Storia e curatore del blog letterario Talent's Books - Libri di Talento.

 

Prefazione

Questo articolo è dedicato a uno degli autori più interessanti che ho avuto il piacere di conoscere negli ultimi anni. Il suo romanzo, protagonista di questo articolo "Lo Specchio di Orfeo" racchiude come uno scrigno questa specialità, sprigionandola pagina dopo pagina fino all'epilogo finale. Un romanzo emozionante ed erudito, ricco di suggestioni e colpi di scena, che si avvale di un incredibile lavoro di documentazione storica. Un'ideale simbiosi di storia, mitologia ed esoterismo con il quale il lettore riesce a confrontarsi, comprendendo a poco a poco i cardini che muovono l'intero complesso. Questo romanzo è anche sperimentazione, di stili e linguaggi innovativi e ricercati; "Lo Specchio di Orfeo" brilla infatti di un lavoro certosino da parte dello scrittore che riesce a dar vita a un modello narrativo unico e originale. "Lo Specchio di Orfeo" sprigiona sapienza e in alcuni passaggi richiede al lettore uno sforzo supplementare nel raccogliere elementi dal proprio background storico-culturale al fine di entrare con cognizione di causa in meccanismi che sembrano esistere e sussistere nella società dall'alba dei tempi. Un romanzo destinato a diventare di culto...

01. Stefano tu sei una delle personalità più brillanti ed eclettiche che ho avuto l’onore di conoscere grazie al “Talento nella Storia”. La tua passione per la cultura si riflette in numerosi campi e sfaccettature che ho ritrovato in parte anche nel romanzo protagonista di questo articolo, ovvero Lo Specchio di Orfeo. Mi piacerebbe approfondire in apertura di intervista quel che riguarda specificatamente il tuo iter culturale riguardo la Storia e riguardo i tuoi interessi linguistici e glottologici che alla Storia sono ovviamente legati. Come ti sei avvicinato alla nostra amata Storia e quali sono stati gli input che ti hanno spinto a occuparti di romanzi storici?

Ti ringrazio, Andrea, per le belle parole con cui mi descrivi, ma che non credo di meritare. La tua domanda me ne fa venire in mente un’altra: è possibile una letteratura senza cultura?... Io credo proprio di no. Per cultura, naturalmente, non intendo solo i libri e il “sapere libresco”, ma tutti i diversi aspetti che sottendono alle società umane, primo fra tutti il linguaggio. Come glottologo, cioè studioso delle lingue (in senso storico – diacronico – e non solo), ad esempio non smette di entusiasmarmi quanto la struttura della nostra lingua madre condizioni anche i nostri processi mentali. Il nostro pensiero si articola in parole e frasi che necessariamente obbediscono alle strutture della/e lingua/e con cui comunichiamo abitualmente. Siamo convinti che il tessuto della realtà sia uno e uno solo per tutti gli esseri umani; di fatto, non è così. Prendiamo i colori: mentre noi sappiamo bene a quale colore ci riferiamo parlando del cielo, in greco antico non esisteva un termine per ‘azzurro’, e in gallese glas riunisce tutta la gamma dei verdi e dei blu. Più o meno lo stesso accade con la parola giapponese ao, che vale sia per azzurro che per verde, al punto che, in Giappone, la luce verde dei semafori è decisamente tendente al blu. La lingua, in definitiva, finisce per “plasmare” il modo nel quale vediamo il mondo. Ma vengo alla Storia – o alle Storie… Io trovo che la stessa “molteplicità dei mondi” che emerge dallo studio delle lingue sia evidente nel racconto degli eventi significativi che fonda una società umana. Questa narrazione è una definizione possibile di Storia. Basta però riflettere un attimo ed è subito chiaro che non esiste una Storia unica, valida per tutti. Uno stesso fatto è tramandato da differenti autori – e popoli – in modi anche radicalmente diversi. Personalmente, sono stato sempre affascinato dalla “Storia dei vinti”, dalla versione di coloro che, spesso per ragioni politiche, la Storia – quella con la s maiuscola – l’hanno subìta, più che interpretarla. Le loro storie minuscole hanno e, credo, devono avere, la medesima dignità universale che si riconosce alla “Storia ufficiale”. Immagino sia per questo motivo che le mie storie sono profondamente impregnate di… Storia. È un gioco di parole per nulla involontario. Perché, come si vede bene nella coppia inglese History/story (o nella meno nota História/estórias del portoghese, la mia seconda lingua), la storia senza maiuscola è anche il racconto di fatti immaginari, può essere il resoconto di cronisti fittizi, la raccolta di testimonianze inventate. O di libri e manoscritti che (Borges docet) non esistono, ma potrebbero esistere… Ecco: la verosimiglianza è un aspetto imprescindibile della struttura narrativa, e forse ancor più per la cosiddetta narrativa d’immaginazione. È un aspetto “etico” della scrittura che si offre al lettore: l’autore deve comporre un tessuto narrativo documentato, plausibile nel senso di una seria ricostruzione storica. Altrimenti si finisce per ingrossare il filone oceanico dei romanzi “infarinati” di date, condottieri, grandi genî del passato o, peggio, di Templari e di codici. Ce n’è davvero bisogno?... È una mancanza di rispetto: nei confronti dell’intelligenza di chi legge e nei confronti della stessa Storia…

02. Lo Specchio di Orfeo è un romanzo magnifico nei suoi aspetti culturali e innovativi. Leggerlo è un’esperienza non comune, sia per la struttura con cui si articola che per le tematiche trattate. Come è nata nella tua testa questa opera e quale è stato il suo iter formativo? E una volta portato a termine cosa ti è rimasto dentro di questa esperienza?

È stata una grande sfida. Ma in fondo ogni scrittura lo è. Il primo nucleo narrativo è stata l’idea di riscrivere il mito di Orfeo. Mi è sempre piaciuto quest’aspetto dei miti (che sono «storie trasmesse con varianti», come dice Roberto Calasso), della classicità greco-romana e non solo: quel germe interno che fa sì che essi proliferino e si moltiplichino in nuove versioni che aggiungono nuovi punti di vista, nuove rivelazioni. È venuto fuori il testo di un manoscritto medievale e, da lì, è “apparso” il filologo che l’aveva scoperto, e poi la sua strana morte – e l’indagine dell’altro filologo suo allievo per far luce sulla misteriosa fine del suo insegnante. Un’indagine che porterà protagonista e lettore molto lontano, nello spazio e nel tempo: dal Portogallo del ’500 alla Terrasanta delle Crociate, dai giochi di potere delle multinazionali contemporanee alla Praga degli alchimisti, dei cabalisti e di Rodolfo II… Riguardo al lavoro di scrittura vero e proprio, Lo Specchio di Orfeo ha richiesto più fasi, sia di “costruzione” sia di editing. Io amo la narrativa che gioca con strutture “altre”, che in qualche modo faccia avanzare il lettore nella storia con gli stessi dubbi e le stesse rivelazioni dei protagonisti. Questo romanzo è stato pensato come una raccolta di documenti: ciò che rimane di un manoscritto, parti del saggio filologico che lo analizzano, appunti personali dei personaggi, brani di lettere, e-mail, articoli di giornale ecc. Va da sé che la giustapposizione dei testi – e prim’ancora la differenziazione delle varie “voci” – è stata tutt’altro che semplice. Se qualcosa mi è rimasto dentro di quest’esperienza, forse è soprattutto l’umiltà del “lavoro” della scrittura: un cammino costante, difficile, pieno di ripensamenti, che esige dedizione assoluta e che non dà mai nulla per scontato… Un cammino che nasce innanzitutto dalle molte (e attente letture). Lo dico polemicamente, vivendo in una nazione in cui sono moltissimi a scrivere ma pochissimi a leggere…

03. Lo Specchio di Orfeo brilla per l’elaborata base storico-culturale di cui è dotato. Quali sono state le tue ricerche in merito, le fonti consultate e quali le difficoltà oggettive nel portare avanti un romanzo di tale complessità? Hai mai avuto il timore che un lettore non particolarmente ferrato sugli argomenti affrontati, potesse perdersi nei meandri della tua opera?

Per Lo Specchio di Orfeo è stato necessario uno studio lungo e complesso, ma non poteva essere altrimenti. Questo, associato alla particolare struttura narrativa, ha significato una serie ininterrotta di battute d’arresto e ripartenze, di ripensamenti e revisioni. Mi accorgo solo ora che quella pubblicata è la quinta versione del romanzo… La ricerca bibliografica è passata per testi a volte introvabili, mi ha fatto scoprire opere dalle teorie affascinanti: vorrei citare, per tutte, Atena Nera di Martin Bernal (Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997), e il fondamentale lavoro di Charles Segal, Orpheus: the Myth of the Poet (Johns Hopkins University Press, Baltimore and London 1993 2a edizione). Quanto all’ultima parte della domanda, ritorno al concetto di rispetto nei confronti del lettore. Chi legge ha il sacrosanto diritto di scegliere se andare avanti o chiudere il libro per sempre. Ma, ancor prima, lo scrittore ha l’obbligo di rendere fruibile la sua opera, anche per chi sia totalmente digiuno riguardo alle tematiche trattate. Nel concreto, si tratta di far “funzionare” un romanzo su più livelli. Se, ad esempio, il plot è ben costruito e i personaggi sono convincenti, allora anche il lettore “superficiale” rimarrà avvinto dalla narrazione. E proseguirà fino in fondo. E qualcosa resterà nella sua mente e nella sua memoria, persino di argomenti che non avrebbe mai immaginato di affrontare. La scrittura, per me, ha senso se riesce a stimolare la curiosità e l’interesse in chi legge. Se dalle pagine qualcosa “sopravvive” dentro le coscienze. Il mito di Orfeo, per esempio. Qualche tempo fa ho ricevuto una mail che mi ha fatto molto piacere: «Non sapevo neanche chi fosse, Orfeo, e adesso invece ho scoperto un sacco di cose…».

04. Gli aspetti esoterici costituiscono uno dei fattori del romanzo in questione, una chiave d’interpretazione del reale. Tali aspetti vengono affrontati con competenza e talento, rifuggendo da banalità e superficialità che troppo spesso potrebbero entrare in gioco. Vogliamo approfondire cosa rappresenta per te questa ricerca interpretativa e soprattutto qual è l’alchimia per rifuggire dai luoghi comuni e dall’esoterismo inteso come una delle tante “mode” del millennio?

«Ciò ch’è in basso è come ciò ch’è in alto, e ciò ch’è in alto è come ciò ch’è in basso, per fare i miracoli della cosa una», recita forse il più noto dei testi sapienziali, la Tabula Smaragdina. Ne Lo Specchio di Orfeo ho tentato soprattutto di mettere in luce l’insegnamento “analogico” della tradizione esoterica e, ovviamente, del mito. Non mi interessava e non mi interessa l’“esoterismo di cassetta” che, con titoli nuovi ogni settimana, affolla gli scaffali promettendo colpi di scena a base di cavalieri Templari e codici. Non c’è nulla del genere ne Lo Specchio di Orfeo. L’ultimo segreto, la pietra filosofale – chiamiamola come vogliamo –, è per l’appunto una differente interpretazione della realtà. La conoscenza esoterica, il dettato occulto del mito (e del rito che perpetua il mito), non è altro che il disvelamento dei grandi misteri dell’esistenza attraverso simboli e narrazioni ancestrali, icone e storie che vengono moltiplicate (riflesse, si potrebbe dire, giocando ancora con gli specchi) nel minuscolo quotidiano dell’uomo. In definitiva: l’ansia del vero alchimista non era cercare il segreto della trasmutazione del metallo vile in oro, ma la comprensione dell’universo. Macrocosmo e microcosmo sono strettamente connessi in una fitta rete di analogie ed equivalenze. Se ogni libro è in se stesso una composizione, un’alchimia, quella de Lo Specchio di Orfeo (peraltro suddiviso in quattro parti, corrispondenti alle quattro fasi dell’opus alchemicum) tenta di mostrare i diversi livelli della realtà, ma anche – e soprattutto – che una piccola, insignificante vita umana, ha il valore sacro di un intero mondo…

05. Tu provieni da una famiglia di persone fortemente impegnate nell’arte e nella cultura. Tuo padre, ancor prima tuo nonno, persone di spicco nel panorama artistico e letterario e personalità che ti hanno sicuramente tramandato la poliedricità culturale. Dalla tua biografia ho letto delle tue tantissime passioni. Come e perché sei arrivato a canalizzare il “flusso creativo” nella scrittura, eleggendola a espressione artistica privilegiata? E soprattutto, il tuo modo di intendere la scrittura non è fine a se stesso ma è inteso anche in questo caso come una ricerca… ricerca di linguaggi e strutture narrative innovative…

La scrittura… Per me è un cammino arduo, come ti ho già detto, che non si presta a improvvisazioni. Forse è la disciplina insita nel “lavoro” della scrittura: è questo l’aspetto che più mi aiuta a canalizzare una spinta creativa che, altrimenti, si disperderebbe scompostamente. E, sì, per me scrivere è sinonimo di ricercare: strutture narrative e linguaggi “altri”. Innovare e sperimentare, in un certo senso, tenendo però sempre in mente la fruibilità della narrazione – perché non si scrive per se stessi ma per gli altri. La struttura de Lo Specchio di Orfeo, ad esempio, gioca molto sui differenti registri linguistici (il documento epistolare, il saggio, l’e-mail, il manoscritto…), ma anche sulla pluralità di voci dei protagonisti. Trovo affascinante anche il racconto che si muove tra più piani spaziotemporali. Di fatto non pongo limiti all’impianto strutturale della mia scrittura, purché sia rispettata la coerenza generale, s’intende. Quanto ai linguaggi e alla ricerca linguistica, avrei molto da dire. Nello specifico, negli ultimi anni ho lavorato molto all’inseguimento dell’oralità – che, ovviamente, per funzionare in senso “letterario”, non può limitarsi alla mera e fedele riproduzione del parlato…

06. Stefano, c’è un altro argomento che vorrei approfondire e capire se in qualche modo è legato a quanto ci siamo detti finora… la passione per il Portogallo e la cultura lusitana, considerando inoltre che molte tue opere hanno mercato proprio in Spagna e Portogallo…

Cosa posso dirti? Da tempo – mi sembra da sempre – ho scelto il Portogallo e il portoghese come mio paese e lingua “dell’anima”. Ed è vero: ad esempio Lo Specchio di Orfeo si svolge in Portogallo, ed è stato tradotto e pubblicato anche in portoghese… Da ragazzo, sempre appassionato di lingue, mi avvicinai ai primi testi in portoghese: erano le poesie dei grandi del ’900, primo fra tutti Fernando Pessoa. Rimasi folgorato. Mi conquistò subito il punto di vista così diverso, lo sguardo inquieto e distante che quei poeti gettavano verso l’orizzonte, da quell’estremità d’Europa (poi ho scoperto) così poco europea, proiettata sull’oceano e sui sogni di imperi trascorsi. Studiare la lingua e la cultura lusitana – che non è solo Portogallo, ma anche Brasile, Africa, Asia – è stato il passo successivo. È più d’una passione. La melancolia, quell’assenza-presenza che spinge a vedere insieme il vero e il suo rovescio, sono tratti peculiari della “lusitanità” tanto quanto della mia natura… Forse la grande lezione della letteratura lusitana sta proprio in questa che io chiamerei coscienza dello straniamento. È la stessa pulsione per la quale Pessoa è stato uno e molti (tutti i suoi eteronimi). E mi riallaccio a quanto detto prima, all’equazione linguaggio = visione del mondo. A volte mi sorprendo a pensare in portoghese. O persino a immaginare e poi scrivere un racconto. E se poi lo traduco in italiano mi appare irrimediabilmente carente, imperfetto…

07. Abbiamo parlato principalmente de “Lo Specchio di Orfeo” ma io sarei interessato a conoscere qualche curiosità riguardo l’altro tuo grande romanzo storico “Del Morbo – Una cronaca del 1770”, uscito per di più in nuova edizione.

Del Morbo è un’altra storia con la s minuscola – un altro racconto narrato dagli ultimi, dagli sconfitti. La scena è Lille Havn (‘piccolo porto’), una cittadina costiera in un minuscolo regno del Nord, da qualche parte fra Prussia e Danimarca. L’anno è il 1770. Nel contrasto fra la nitida Raison illuministica che sta investendo l’Europa, e il fanatismo religioso di quella buia periferia settentrionale, non si distingue una verità indubitabile e assoluta. È uno strano inverno: ogni cosa appare estranea, remota, mentre avanza la morsa di ghiaccio che si accompagna alle nebbie della baia. All’improvviso, indistinto e irraggiungibile, il profilo inclinato di un veliero all’àncora in alto mare, immobile sul filo dell’orizzonte. La sua comparsa coincide con l’erompere spaventoso e senza spiegazione di un’epidemia che farà piombare la malattia e la morte su Lille Havn…
Anche in Del Morbo ho cercato una struttura e una lingua non consuete. La narrazione della medesima vicenda resa da più voci dà vita a più prospettive come in un gioco di specchi che riflette il racconto di rovine e trionfi, che moltiplica le gesta di piccole e grandi figure umane. Un anonimo cronista del tempo ricostruisce e confronta i fatti – o le allucinazioni, o i miracoli –, con rigore settecentesco. Un rigore filtrato da un linguaggio che ricalca – ma in realtà reinventa – la frase e il vocabolario del XVIII secolo. Una lingua reinventata, seppure con scrupolo filologico: funzionale, in chiave letteraria, a esprimere tutto il terribile e il meraviglioso di un’avventura ai limiti del mondo che è anche una disperata ricerca di Dio, o della sua assenza. D’altra parte forse non è un caso che tutto sia nato da una visione, da un sogno a occhi aperti, che ha poi originato il finale del libro...
Sono molto legato a Del Morbo – Una cronaca del 1770. Anche se, in generale, non credo ai premi letterari, sono fiero che questo romanzo ne abbia vinti. Non appena i diritti del libro sono tornati in mio possesso ho curato una nuova edizione (in libro, in ebook e in formato kindle).

08. A cosa stai lavorando e quali sono i tuoi progetti letterari futuri? E vorrei chiudere sulla tua esperienza con il mondo editoriale… è davvero così difficile divulgare il proprio talento letterario?

A parte il sito Il Sogno del Minotauro, in cui curo soprattutto la traduzione e la diffusione del racconto breve e brevissimo (che da noi, al contrario soprattutto dei paesi di lingua spagnola, non ha tradizione), ho appena terminato un “romanzo orientale” con mie illustrazioni, ambientato nell’epoca delle Scoperte – un lavoro che mi ha impegnato a lungo, anche dal punto di vista grafico. È l’ennesimo “gioco” che faccio con la Storia, non perdo il vizio… Progetti? Vorrei dedicarmi alla promozione di alcuni miei inediti, in particolare alla quadrilogia che ho intitolato Il Ciclo del Motore E. (dal suo primo romanzo: Il Motore E.). Si tratta di quattro distopie del futuro – quattro visioni del mondo a venire contrassegnate da una narrazione sempre alla ricerca dell’oralità. Ma anche quattro storie accomunate dal tema dell’amore: disperato, crudele, tenero, impossibile... Ogni romanzo ha vita autonoma: pur inserito nel contesto del ciclo, ciascun libro è indipendente e si situa in un tempo e in una fase a sé stanti dell’Era del Motore E. Tengo molto a questa quadrilogia sia perché sviluppa strutture e linguaggi narrativi divergenti, sia perché approfondisce un tema che ritengo attualissimo: il pericolo dell’omologazione che schiaccia e assimila tutto e tutti, sacrificando senza alcuno scrupolo le esistenze che “non si conformano”. Difficile dare una collocazione di genere al Ciclo del Motore E.: potrebbe rientrare nella Social Science Fiction ma è sicuramente una distopia; forse è assimilabile a libri (lo dico con tutta l’umiltà possibile) come Mattatoio n. 5 di Vonnegut. Di fatto la fantascienza mi attrae solo se sostenuta da un plot impeccabile – penso a Dick – e quando cela in sé un “insegnamento” che sia valido per la realtà contemporanea (perché il futuro forse non è altro che un passato raccontato dentro un sogno – o dentro un incubo, chissà...). Che altro dire? In attesa che qualche editore italiano si incuriosisca, io seguito la difficile vita della scrittura. Mi conforta il sostegno di professionisti seri del settore, purtroppo non italiani. I diritti de Lo Specchio di Orfeo e di altri miei due inediti sono rappresentati da Juliane Roderer e dalla sua Literaturagentur di Monaco. Nel contempo, l’agenzia spagnola “Página Tres” di Barcellona cura i diritti e le traduzioni di altre mie opere.

Per approfondire

- Il sito ufficiale di Stefano Valente - www.stefanovalente.com

- Res Lusitaniae il sito di S. Valente che si occupa di lusitanistica - http://reslusitaniae.blogspot.it

- Res Lusitanae, altro sito di S. Valente che si occupa di lusitanistica - link

- Il Sogno del Minotauro, microficción e narrativa breve - http://sognodelminotauro.blogspot.com


[da Talento nella Storia, giugno 2013]

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